Registi del Festival seduti attorno a un tè

Un’Ora del té particolarmente affollata al Festival Center. Tra i tanti ospiti Rachid Benhadj,  presidente della giuria del Concorso Lungometraggi e regista di L’étoile d’Alger, film della sezione Flash che affronta un tema decisamente d’attualità, quello del fondamentalismo religioso. “Perchè i nostri figli diventano dei mostri integralisti? Noi artisti siamo creatori di dubbi, esattamente il contrario dei fanatici, che sono portatori di dogmi: la mia indagine è partita proprio dal tentativo di rispondere a questa domanda. Si tratta di questioni che riguardano in realtà tutti noi e che ho affrontato con un taglio cinematografico di ispirazione neorealista”.

Poco distante da Rachid Benhadj c’era suo figlio Karim, in concorso nella sezione Extr’A con Il canto delle onde. “Non è vero che ho citato l’ultimo lavoro di mio padre, è vero esattamente il contrario”, ha scherzato il giovane regista prima di entrare nel vivo del racconto del suo cortometraggio: “Mi è sembrato necessario trattare il tema delle violenza sulle donne. I dati sono impressionanti. Se il mio corto in alcuni momenti sembra un horror è perchè la realtà spesso è un horror. Il canto del titolo, invece, è un esplicito richiamo alla mitologia classica”.

Altrettanto carico di tensione El Amparo di Rober Calzadilla del Concorso Lungometraggi: “Quand’ero piccolo, alla fine degli anni ’80, rimasi impressionato dalla storia di questi pescatori scambiati per guerriglieri al confine fra il Venezuela e la Colombia”, ha ricordato il regista, “rimanevo incollato alla tv per seguire questa storia e quelle immagini si sono sedimentate nella mia memoria. Era destino, evidentemente, che dopo tanti anni questi ricordi diventassero una sceneggiatura”.

Scenario molto diverso quello raccontato Gabriele Cipolla in Echoes della sezione Extra’A: “Ho cercato di raccontare la quotidianità in uno dei campi profughi dell’Est Europa, vera e propria città di 13000 abitanti. Abbiamo macinato chilometri su un furgoncino per raggiungere un posto, come dice uno dei protagonisti del film, pieno di uomini ma senza umanità. Uomini di cui ho voluto registrare la forza della loro eco prima che si disperda nell’inferno in cui vivono”.

E di immigrazione parla anche Per un figlio di Suranga Katugampala: “In tutta franchezza non mi aspettavo affatto che il film sarebbe stato accolto bene, anzi, non mi aspettavo nemmeno che sarebbe stato distribuito”, ha confessato il regista originario dello Sri Lanka, membro della giuria del Concorso Lungometraggi e presente con il suo film nella sezione Flash, “in ogni modo, nonostante i miei timori ho voluto dare ascolto a questa mia urgenza di dare una rappresentazione inedita dei cosiddetti nuovi cittadini”.

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